L’educazione se vuole definirsi pluridimensionale deve dirigersi verso lo sviluppo delle istanze che compongono l’uomo (intellettuale, affettivo, estetico, etico, motorio)[1], favorirne il dialogo reciproco, quindi l’integrazione. Lo sviluppo della sfera motoria risulta fondamentale nell’uomo pluridimensionale per accedere a un pieno sviluppo delle potenzialità individuali e della propria unicità.

L’attività motoria è un linguaggio[2] e come tale possiede:

  • una dimensione semantica, costituita dall’insieme dei fattori della motricità;
  • una dimensione sintattica, costituita dall’insieme dei legami dei fattori della motricità;
  • una dimensione logica, costituita dalla disposizione gerarchizzata dei fattori della motricità.

Attraverso Il linguaggio motorio si può comunicare con la sfera intellettuale, affettiva, estetica, etica. I gesti motori permettono sia di influenzare il vissuto del soggetto sia di estrapolare da essi feedback attraverso cui imparare a conoscersi.

Le istanze corpo-mente, date queste premesse, non possono più essere considerate a se stanti, sono linguaggi in comunicazione diretta e si influenzano reciprocamente.

Il dualismo mente-corpo tipico della nostra cultura occidentale deve essere superato. Erroneamente attribuiamo il dualismo, all’origine dell’abitudine di separazione di cui soffre la nostra cultura, direttamente a Platone. Questa convinzione rende sterile, ancora oggi, qualsiasi tentativo di riportare la mente al corpo. L’antitesi mente-corpo sottintende un’idea che inevitabilmente porta a guardare con sufficienza l’accostamento delle pratiche corporee a quelle cognitive. Tale concezione può essere rivista ricomprendendo il pensiero platonico secondo l’interpretazione di Romano Màdera:

Il corpo, in quanto organismo biologico determinato dall’eredità filogenetica, non è affatto sregolato, anzi gli istinti hanno in se stessi la loro misura[…]. Cosa ci trascina dunque a forzare i limiti iscritti nell’organismo corporeo? Esattamente il corrispettivo di ciò che molte tradizioni filosofiche e sapienziali pensavano fosse la fonte della misura: la corteccia cerebrale[…]. Gli esercizi del corpo, nelle scuole antiche finalizzati al controllo e al dominio delle passioni, oggi possono insegnare proprio il senso della misura, rimettendoci in contatto con la sorgente naturale di ogni rielaborazione etica[3].

Il corpo dunque come misura del limite[4], tale misura è imprescindibile da una piena consapevolezza del proprio corpo e delle proprie risorse.

Nella filosofia delle origini la dimensione fisica rivestiva un ruolo centrale. La paideia si configurava come integrazione di esercizi fisici e spirituali che comprendevano, fra l’altro, il controllo del regime alimentare, l’arte del dialogo, la pratica del silenzio e lo sviluppo delle capacità di concentrazione e meditazione. La distinzione fra esercizi del corpo e dell’anima appare dunque superata dalla consapevolezza che entrambi sono necessari: “a formare l’uomo vero, libero, forte e indipendente[5].

Il corpo è quindi misura del limite: ”Ma questo limite non può circoscriversi alla coscienza del << corpo interno >>; il corpo interno per << farsi mondo >>, per agire nel mondo, necessita del confronto/incontro con l’altro, come tutto ciò che di sensibile ci circonda[6].

Lo sport alla luce di tutto ciò si connota come valente strumento educativo, come mezzo efficace di integrazione delle istanze dell’individuo. La relazione tra sport ed educazione non è però intrinseca, ovvero non è sufficiente partecipare ad una qualunque attività motoria per beneficiare delle possibilità educative dello sport. Se esso non è intenzionalmente concepito come spazio educativo infatti può risultare addirittura diseducativo, producendo effetti dannosi. Sono purtroppo molto frequenti gli episodi che esaltano l’intolleranza, la competizione negativa, la violenza, la focalizzazione sul risultato ad ogni costo[7].

La pratica dell’allenatore è scissa tra: l’educare (trasmissione di valori) e il mero insegnare (addestramento tecnico-condizionale).

Ciò che la società tende a dimenticare è che l’allenamento – processo di cui l’allenatore è responsabile insieme ai suoi atleti – non rappresenta solo un problema per così dire << tecnico >>, legato al conseguimento del risultato sportivo espresso dalla vittoria. L’allenamento rappresenta un crocevia di problemi psicologici, sociali, etici, economici, culturali ed antropologici che devono essere affrontati con cognizione e competenza da parte dell’allenatore. L’allenamento, come la stessa etimologia della parola lascia intendere (connessa con il concetto di << accompagnamento >> e di        << guida >>), è in primo luogo una pratica pedagogica che veicola valori(o disvalori,e nel qual caso non è più tale) che sono sempre connessi allo sport, alla società ed alla persona umana[8].

La pratica motorio-sportiva risulta essere complessa, è necessario quindi ripensarla alla luce di una teoria della complessità che superi il riduzionismo (come semplificazione dei problemi che ne sono intrinseci) ed il riduttivismo (come limitazione delle angolazioni scientifiche adottate per il suo studio) che troppo spesso la caratterizzano (Balagué e Torrents)[9].

Secondo Devis[10], al fine di favorire la diffusione di uno sport “educativo” occorrono delle modifiche rispetto:

  • all’importanza sociale attribuita al risultato;
  • alla competizione come unico fine della pratica;
  • all’incitamento della rivalità, competitività e aggressività che si oppongono a certi valori morali come la cooperazione, il rispetto e l’uguaglianza;
  • alla sua utilizzazione ai fini polito-economici.

Pertanto se lo sport vuole essere strumento educativo necessita di opportune modifiche.

Secondo Cruz[11] tale revisione riflette:

  • gli obiettivi dello sport in età scolare;
  • il ruolo che esercitano genitori, allenatori, arbitri e organizzatori di competizioni;
  • i modelli offerti dallo sport professionistico;
  • il trattamento delle informazioni da parte dei media.

Il consiglio d’Europa (1967-1991) ha indicato nel documento“Lo sport per i bambini[12]” le funzioni e i significati che esso dovrebbe avere per i giovani:

  • il rispetto della persona in tutti i suoi aspetti;
  • lo sviluppo delle capacità di valutazione delle proprie potenzialità e il miglioramento degli aspetti della propria personalità, tenendo sempre presente il rispetto di sé e degli altri;
  • la promozione dello sport in un ambiente divertente, ma che non dimentichi il rigore dell’apprendimento;
  • l’attuazione di una pedagogia che non porti a risultati troppo facili o a insuccessi con conseguenze gravi;
  • la proposta di una gamma di attività individuali e collettive;
  • la scelta libera dell’attività sportiva, seguendo quelli che sono gli interessi e le necessità della persona.

Queste linee guida del consiglio d’Europa sono molto importanti per non disperdere il potenziale educativo associato all’attività fisica e allo sport come, ad esempio, la reciprocità nell’apprendimento, il miglioramento dell’autostima e della fiducia in se stessi, la costruzione di un senso di responsabilità, l’apprendimento di capacità per lavorare in gruppo, lo sviluppo di tutte le dimensioni della persona[13].

Lo sport è sia pratica umana, poiché permette l’espressione della totalità della persona, sia pratica sociale in quanto si svolge in uno spazio di interazione tra soggetti.

Secondo Maulini lo sport, condividendo un sistema di regole necessarie alla pratica e costruendo obiettivi in maniera negoziata e partecipata, è uno strumento capace di incidere sulla costruzione dello stile di vita e sullo sviluppo della responsabilità sociale

dell’individuo[14]. La pratica motoria-sportiva può definirsi educativa quindi solo se utilizzata come strumento teso  all’integrazione sia delle istanze umane (intellettuali, affettive, estetiche, etiche, motorie) sia sociali, se orientata alla consapevolezza di se stessi e del mondo.

Il Ju-do, la Via(DO) dell’adattabilità(JU) alle circostanze della vita, di Jigoro Kano si propone come “Via” di tale integrazione, consiste nel realizzare se stessi (premessa necessaria) per potersi dedicare senza riserve alla realizzazione di un ideale che si riversi nella socialità. ” La via ha un inizio unico e consiste nell’arrivare a disporre della propria potenzialità; raggiunto questo risultato si presentano infinite direzioni tra le quali si sceglie quella che valorizza la singola personalità[15]. J. Kano ha sistematizzato le esperienze della tradizione guerriera traendone un metodo di unificazione dell’essere. Essere “uno” per Kano rappresenta la base della teoria educativa sociale, permette all’individuo in modo autonomo di scegliere i mezzi attraverso cui autorealizzarsi. È in questo modo che vengono valorizzate le risorse umane e rispettata la singola personalità.

Secondo J.F. Hernandez :

Per aver fondato l’istituto Kodokan e diffuso nel mondo il metodo-judo, Kano assurge al rango di educatore e pedagogo internazionale. E’ il primo asiatico a cui viene riconosciuta questa dimensione culturale […]. Il Judo, Via dell’Adattabilità, basato su un principio universale, è un concetto educativo totale. La sua pedagogia altruista e non-dualista, sfugge ancora abbastanza alla nostra cultura[…]. La metodologia del Judo di Kano non rappresenta solo la chiave per accedere al patrimonio culturale dell’Oriente, ma soprattutto permette, attraverso educazione e formazione, lo sviluppo e la realizzazione della personalità[…]. Questa chiave è basata su un Principio morale che permette di impadronirsi delle componenti esistenziali della Via per poter partecipare pienamente alla vita sociale del mondo[16].

kanoFigura 1 Jigoro Kano, codificatore del Judo.

Il Judo è prima di tutto Educazione e solo successivamente sport, con questo si vuole sottintendere che il fine ultimo del Judo è la crescita dell’essere umano, l’integrazione dell’uomo con se stesso e con l’universo. Il Judo attraverso la pratica del combattimento e dei suoi gesti “estetici”( il termine estetico viene utilizzato rimandando al significato del termine greco aisthesis, ovvero riferendosi al ruolo della consapevolezza dei sensi nel processo di conoscenza) vuole trasmettere il principio dell’ intersoggettività dell’esistenza, ovvero si propone la trasmissione dell’esperienza del non-io, l’esperienza di unione con gli

altri esseri viventi e l’universo intero. Tale esperienza è definita peak experience[17] dallo psicologo umanista H.A. Maslow. La pratica vista in questo senso rappresenta una forma dinamica dello Zen, di meditazione in movimento in cui i gesti possono portare a una conoscenza profonda della realtà, modificando il vissuto di chi pratica. Osservando la breve storia di questa disciplina osserviamo purtroppo una sua continua strumentalizzazione: in un primo momento da parte dello stesso Giappone che lo utilizzò a fini militari; alla fine del secondo conflitto mondiale, quando il movimento judoistico assunse caratteristiche internazionali, dal sistema sportivo mondiale, colpevole di aver diffuso un Judo sportivo che, facendo leva sull’ego, trascura la formazione di quel nuovo essere umano che è l’obiettivo del sig. Kano[18].

La dottrina sociale di Kano, ispirata alla filosofia orientale, si riflette in quest’idea: mentre litighiamo sulle possibili forme istituzionali, dibattendoci nelle ideologie politiche o sostenendo il regionalismo piuttosto che un governo planetario, con la certezza che uomini schiavi dell’ego daranno comunque forma a un malgoverno, vogliamo dedicare qualche energia ad educare un nuovo essere umano che dell’ego non è schiavo? Per noi non farà gran differenza, ma la nuova generazione potrà forse scegliere con più responsabilità il futuro dell’umanità e della Terra. Questo è il grande sogno dell’Educazione, che è anche un atto d’amore verso i nostri figli e l’Universo intero. Il sig. Kano conosceva l’esperienza guerriera e la conseguente disputa sull’educazione che aveva animato il Jiu-jitsu durante 200 anni. Si era fatto un’idea di come realizzare un’educazione moderna che liberasse l’essere umano dall’ego.[…] Jigoro Kano fu un uomo coraggioso che cercò di introdurre la Via nella Scuola. Non promuoveva un credo o una dottrina, ma cercava solo il progresso umano, per ottenere il quale ha parlato di << Tre Culture >>: quella fisica, quella mentale e quella spirituale, indissolubilmente unite[19].

Il Judo si poggia su due dimensioni: realizzarsi e riversare la propria realizzazione nella società. Realizzarsi invita a praticare, a ricercare il miglior impiego dell’energia; riversare la propria realizzazione nella società si riferisce al “dare” senza nulla in cambio.

Tutti in << kimono >> a far Judo allora? No. Il judo storico vuole essere un esempio di come si possa prendere una pratica egoica come il jiu-jutsu (difesa personale) e trasformarla in una disciplina educativa[20].

Secondo Kano: ”Nulla, sotto il cielo, è più importante dell’educazione: l’insegnamento di un solo uomo di valore può raggiungere una moltitudine, e il sapere di una generazione può influenzarne cento altre[21].

L’educazione di cui parla il Professore è educare ad affrontare la realtà; Kano propone due principi utili a tale scopo:

  • Sei-ryoku-zen’yo (il miglior impiego dell’energia): attraverso cui, il Professore, ci invita ad affrontare tutte le esperienze della vita utilizzando le nostre facoltà fisiche, mentali e spirituali al meglio, senza spreco o contrasto. È la pratica necessaria per arrivare all’unificazione di tutte le istanze dell’uomo e raggiungere la propria autorealizzazione.
  • Ji-ta-kyo-ei (realizzare se stessi per progredire insieme): la pratica quotidiana del miglior impiego dell’energia trasmette l’esperienza dell’ inter-soggettività; le proprie capacità vengono indirizzate al fine sociale. Si prospetta, in tale principio, la trascendenza dell’ego.

Il Judo Kodokan si struttura in: tecnica dell’attacco-difesa; formazione fisica; coltivazione etica e mentale. A tal proposito scrive Kano:

Anzitutto esiste la specializzazione dell’attacco-difesa, che è la base; poi quello che ci permette di acquisire un fisico forte e di coltivare la mente e l’animo, presupposti che a loro volta servono per svolgere in modo debito e auspicato i nostri proponimenti nella vita. Come si vede, il fatto di voler utilizzare le nostre capacità al fine sociale viene al terzo posto con la valenza di obiettivo finale (discorso che vale per tutte le attività umane); in altre parole, visto che l’addestramento fisico e mentale esiste in quanto mezzo per raggiungere l’ultimo obiettivo, l’allenamento dell’attacco-difesa, che ne è la base, non rappresenta che il mezzo dell’altro per ottenere lo scopo finale[22].

Nell’esperienza del Professore esistono quindi tre culture del Judo:

  • Shobu-Judo: rappresenta il livello inferiore, si riferisce all’allenamento dell’attacco-difesa usato per vincere in gara o nella difesa personale in strada. Costituisce l’esercizio di base, metaforicamente può essere paragonato alle fondamenta di una costruzione;
  • Rentai-Judo: rappresenta il livello intermedio, la pratica costante dello Shobu-Judo ha riscontri positivi nelle qualità fisiche e mentali del praticante; può essere riassunto nella massima: essere sani per essere utili. Rappresenta le pareti della costruzione;
  • Sushin-Judo: rappresenta il Judo superiore, la pratica quotidiana del miglior impiego dell’energia trasmette al judoista il principio etico, il Ji-ta-kyo-ei. Le proprie capacità vengono quindi indirizzate verso il fine sociale; lo Sushin- Judo costituisce il tetto dell’educazione.

Gli elementi costituitivi dell’apprendimento tecnico del Judo sono: il randori e il kata. Nel randori (combattimento libero) i due atleti esercitano le tecniche nella completa libertà, attaccando spesso e con incisività. Lo spirito del randori è diverso da quello della competizione. Esso deve essere considerato una fase di studio, viene svolto: ”nello spirito della << prosperità reciproca >>[23]. Quando l’allievo ha assimilato i fondamentali, le forme della tecnica e i metodi di allenamento viene introdotto al kata. Questo termine può essere tradotto con forma e rappresenta il metodo di trasmissione dei principi che fondano la Scuola marziale.

Con il termine shiai (combattimento reale) si intende la gara. Secondo Kano: “La gara è un incidente incontrato sul nostro cammino, possiamo volgerlo a nostro favore[24]. Nell’educazione la gara simboleggia un problema che ci si para davanti e a cui noi dobbiamo trovare soluzione, non persegue lo scopo esteriore della proclamazione di un vincitore; lo shiai rappresenta uno strumento di verifica dell’unificazione dell’essere, persegue lo stato di mente-vuota (mushin) e l’esperienza dell’ippon[25] magistrale (esecuzione della tecnica che sfrutta il giusto tempismo e grado di energia). Le esperienze “estetiche”[26] del mushin e dell’ippon magistrale possono tradursi in un ampliamento di coscienza.

IpponFigura 2 Due atleti impegnati nell’azione.

La gara in questa ottica può costituire l’occasione per superare il proprio ego e comprendere la natura ultima del Judo. “ È un’esperienza formativa, basata sull’emozione (e la conseguente scarica di adrenalina)  per prepararsi a fronteggiare situazioni che non utilizzano i processi cognitivi e l’elaborazione cosciente, mantenendo tuttavia la nobiltà di comportamento che l’essere umano ha conquistato nella sua evoluzione[27]. Lo studio del randori, del kata e l’approdo allo shiai (che deve essere rivolto alla sua funzione educativa e non a quella egoistica) rappresentano tappe imprescindibili per l’acquisizione della Via.

In conclusione attraverso il movimento è  possibile conoscersi e conoscere; questo processo è del tutto naturale, il bambino e il suo processo di sviluppo ne sono la constatazione. Ogni bambino inizia a comunicare  attraverso il corpo, attraverso di esso prende coscienza di sé e di ciò che lo circonda. Il Judo, in linea con la tradizione orientale, si fa portavoce di questa verità e promuove partendo dal corpo un processo di autoconoscenza e autorealizzazione permanente.

BIBLIOGRAFIA E CITAZIONI:

  1. Frabboni , F. ; Minerva, F.P. ; Introduzione alla pedagogia generale. Bari: Editori Laterza , 2009. pp. 52-62.
  2. G.Giugni cit.in : Sotgiu , P. ; Pellegrini , F. ; Attività motorie e processo educativo . Roma: Società Stampa Sportiva , 2003. p.53.
  3. Màdera , R. , Cit. in : Gamelli , I. ; Pedagogia del corpo . Milano: Raffaello Cortina Editore , 2011. p 125.
  4. Ibidem
  5. Hadot , P. , Cit.in : cit in : Gamelli , I. ; Pedagogia del corpo . Milano: Raffaello Cortina Editore , 2011.p 127.
  6. Gamelli , I. ; Pedagogia del corpo . Milano: Raffaello Cortina Editore , 2011. p. 128
  7. Maulini , C. , 2012 , L’allenatore-educatore nel positive youth development , In ,  Isidori , E. Fraile Aranda , A. (Eds) ; Pedagogia dell’allenamento. Prospettive metodologiche (187-206). Roma: Edizioni Nuova Cultura , 2012 , pp.188-189.
  8. Isidori , E. , E. Fraile Aranda,  A. , 2012 , L’allenamento come pratica pedagogica. I nodi del problema , In ,  Isidori , E. Fraile Aranda , A. (Eds) ; Pedagogia dell’allenamento. Prospettive metodologiche (7-16). Roma: Edizioni Nuova Cultura , 2012 , pp. 8-9.
  9. Ivi p. 14.
  10. Maulini , C. , 2012 , L’allenatore-educatore nel positive youth development , In ,  Isidori , E. Fraile Aranda , A. (Eds) ; Pedagogia dell’allenamento. Prospettive metodologiche (187-206). Roma: Edizioni Nuova Cultura , 2012 , p. 189.
  11. Ivi p. 190.
  12. Ibidem
  13. Ibidem
  14. Ivi p.191.
  15. Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010. p. 119.
  16. Ivi p. 120.
  17. Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).
  18. Barioli C. , Discorsi sull’educazione, Kyu-shin Do, n. 7, 28 aprile 1991.
  19. Ibidem
  20. Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998.p. 90.
  21. Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p. 78.
  22. Ivi pp.79-80.
  23. Sacripanti , A. ; Biomeccanica del judo. Roma : Edizioni Mediterranee , 1989. p 98.
  24. Ivi p. 137.
  25. Massimo punteggio nel Judo, si ottiene sia schienando l’avversario in modo da rispettare i parametri di velocità d’esecuzione ed energia sia tramite resa per strangolamento o leva articolare.
  26. Il termine estetico viene utilizzato rimandando al significato del termine greco aisthesis, ovvero riferendosi al ruolo dei sensi nel processo di conoscenza.
  27. Barioli , C. ; Kano Jigoro Educatore. Il vero Judo. Milano: NOE , 2010.p.138.

SITOGRAFIA:

  • http://zenbeimartialarts.com/wp-content/themes/zenbeijudo/featured_gallery/images/image_4.jpg (Figura 1)
  • http://www.intjudo.eu/cikk1768/cikk1770/cikk2698-Galeria_mutat_n (Figura 2)

Salvatore Monachelli

Laureato in Scienze delle attività motorie e sportive presso l’Università Kore di Enna nell’anno accademico 2013/2014. Praticante di Judo, cintura marrone. Personal Trainer

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