L’Oriente considera il corpo un mezzo fondamentale nel processo di conoscenza, i sensi non risultano, secondo questa visione, secondari alla ragione. È improbabile l’approdo a una vera comprensione senza un’esperienza diretta del fenomeno, adoperando cioè nel processo di conoscenza in modo integrato i processi fisici e mentali. In questo senso l’approccio esclusivamente intellettuale, tipico della nostra cultura, costituisce un limite alla conoscenza stessa.
L’analisi orientale non va considerata astratta o fine a se stessa, ha come obiettivo il superamento della coscienza ordinaria, ossia quel tipo di vivere che è definito da T. Isutzu come “abitudine al mondo”[1].
Solo corpo e mente integrati possono portare a una vera comprensione, bisogna tuttavia chiarire a quale comprensione ci riferiamo?
Innanzitutto alla comprensione di se stessi, attraverso il corpo infatti può essere esperito “ciò che non può essere concepito intellettualmente”[2].
“Il cammino cosciente, gli esercizi corporei come lo Yoga, Qigong, Tai-Chi, i movimenti circolari dei Sufi, i gesti della preghiera si ancorano nella coscienza del qui ed ora. Quando siamo del tutto presenti in essi, questi ci portano all’esperienza della nostra vera Essenza[…] Quando l’uomo diventa tutt’uno con il movimento, quando spazio e tempo non sono più presenti, la coscienza si apre”[3].
Le Vie orientali si servono di un processo che potremmo definire “estetico” rinviando al significato dell’originario termine greco aisthesis, ovvero a una riflessione sul ruolo della sensibilità nel processo di conoscenza. Ci si riferisce, con il termine aisthesis, non tanto all’attenzione riservata alla produzione di bei gesti o bei movimenti, ”ma anche e soprattutto all’attenzione dedicata a esercitare in modo consapevole i diversi sensi”[4]. Il Judo condivide con le altre vie della tradizione orientale la convinzione che le posizioni da assumere e i gesti da eseguire hanno certo una loro finalità estrinseca che si misura nella loro efficacia, ma anche il fatto che l’attenzione impiegata nell’esecuzione richiede che venga eliminato dalla mente ogni riferimento esterno: sia quelli in direzione del passato, sostenuti da una tensione a ricordare forme e sequenze tecniche corrette, sia quelli in direzione del futuro alimentati da una tensione a ottenere un risultato
Con la pratica del Judo si propone: ”una << ripresa dei sensi >> rispetto alle condizione << anestetiche >> in cui è dispersa la maggior parte delle persone per la maggior parte dei loro tempi quotidiani”[5].
Gli aspetti “estetici” della pratica non sono fini a se stessi, modificano il vissuto del praticante. “Estetica” ed etica non sono istanze isolate, fluiscono una nell’altra. Attraverso la pratica del Judo si scopre la relazione del corpo individuale con lo spazio e con i corpi degli altri individui inclusi in tale spazio. Si ricerca l’armonia prima nei propri movimenti poi nel “sistema” formato con il proprio compagno( tori, colui che esegue + uke, colui che subisce). In questa esecuzione si tende a perdere (con il giusto assetto mentale e un po’ di fortuna) l’io e il tu, ciò che resta è l’atto creato da questo incontro/scontro e la presenza nel qui ed ora. È in tale interdipendenza, vissuta dal praticante, che i risvolti etici si manifestano nel gesto.
“va sempre ricordata l’importanza del concetto e dell’esperienza del << non sé >> […] ribadita lungo tutta la storia del buddhismo. Nello specifico si può citare anche in questo caso un passo del Dhammapada in cui si afferma che << Tutti i dhamma sono privi di sé>> […] ciò significa che ciascuna realtà, sia fisica che psichica, sia visibile che invisibile, non esiste in sé e per sé, non è autonoma, indipendente, ma consiste in un centro di relazioni, così come il nodo di un tappeto non esiste di per sé, ma consiste in quanto è un insieme di fili intrecciati”[6].
La portata di tale concezione, se sperimentata nella pratica empirica, deve necessariamente riportarsi a livello etico:
”ossia al livello delle relazioni tra individui:ciascun essere umano – così come qualsiasi altro << essere >> – è quello che è non in base a una sua propria ed esclusiva <<essenza>>, ma in virtù di una serie – virtualmente infinita – di condizioni che lo fanno esistere: da quelle bio-fisiche a quelle culturali, da quelle genetiche a quelle linguistiche, da quelle ambientali a quelle sociali. E’ evidente allora quanto cambia la prospettiva della relazione tra i corpi alla luce di questa concezione[…] ciascuno ha un proprio corpo solo perché altri corpi (a cominciare da quello dei genitori) lo fanno esistere. Da ciò discende l’enorme importanza che viene ad assumere ogni minimo movimento di un corpo: ciascun movimento non è neutro, << indifferente >>[…]. Ogni minima azione provoca una catena, o meglio, una rete infinita di altre azioni o reazioni”[7].
Più ciascun individuo riesce a essere consapevole di questa interrelazione con gli altri e più forte ed esteso dovrebbe essere il suo senso di responsabilità sociale.
“Quando queste esperienze spirituali diventano effettive nella nostra vita quotidiana, anche le nostre motivazioni e le aspettative si trasformano, e con ciò spariscono sfiducia, ostilità e paura. Questo è il fondamento per un mondo migliore. Con ciò realizziamo un cambiamento nella società, nella politica e nel commercio.”[8]
“Comprendiamo di essere una parte del tutto e di dover contribuire con la nostra parte per servire la collettività.”[9]
“La nostra via spirituale porta alla responsabilità mondiale. Ci porta all’azione, all’iniziativa e al prossimo. Essa è ottimista e planetaria, si impegna per la conservazione della natura e la protezione degli animali. È la base per un’etica dell’amore”[10]
Il Judo può definirsi allora come espressione dinamica dello Zen, un esercizio di concentrazione e meditazione che mira alla realizzazione del mushin (non mente). L’approdo al satori, la cosiddetta illuminazione, non è frutto di uno studio intellettuale, ma è il risultato di un’attività in cui corpo e mente sono sintonizzati. Quando si ha l’esperienza di tale intuizione, ovvero di una coscienza non intenzionale, non giudicante, di una coscienza che non tiene più conto delle categorie soggettivo e oggettivo, ci si trova nello stato di mente non pensante, ma tale stato non va intesa come assenza mentale, è anzi una totale e completa presenza, comporta un’intensificazione della coscienza che non vivendo più la dicotomia non separa più le antinomie dell’esperienza (soggettività e oggettività). Questo modo di intendere se stessi, di un “Io” che non può distaccarsi da tutto il resto, induce a stare di fronte alla realtà non più da spettatore, ma in modo attivo e autentico. Il combattimento nel Judo non mira quindi alla vittoria sull’avversario, ma a tale espansione di coscienza. Quando ciò avviene l’azione è semplice, esprime in pieno il miglior impiego dell’energia. “Se si riesce a sperimentare, concretamente, questo stato di coscienza << non intenzionale >> si comprende, immediatamente, cosa voglia dire Kano quando afferma che il Judo è la rappresentazione pratica del principio del miglior utilizzo dell’energia fisica e mentale”[11]. Tale esperienza “estetica” si riversa nell’etica, poiché tale stato di coscienza non si fossilizza al combattimento, ma diventa un modo di essere, di interpretare il mondo. Parafrasando Maslow tale esperienza è definibile una peak experience, diventa la molla del processo di integrazione definito autorealizzazione. Nelle persone che hanno avuto tale esperienza: ”l’elemento volitivo, quello cognitivo, quello affettivo e quello motorio risultano meno separati l’uno rispetto all’altro, e più sinergici; vale a dire, operano in collaborazione, senza conflitto, per raggiungere i medesimi fini”[12].
In tale sviluppo: ”La frattura fra interiore ed esteriore, tra il sé e tutto il resto, si fa confusa e assai meno netta, e l’uno e l’altro piano sembrano permearsi vicendevolmente ai livelli supremi dello sviluppo della personalità. A questo punto, dicotomizzare sembra caratteristico di un livello inferiore di sviluppo di una personalità e del funzionamento psicologico”[13].
Secondo lo Psicologo tale esperienza non può prescindere dal concreto, essa si manifesta soprattutto nei tipi di cognizione intuitiva ed estetica: ”in quanto esistono alcuni aspetti
della realtà che non possono conoscersi in altro modo”[14], in pieno accordo con la visione Orientale .
Le peak experience secondo Maslow :
- Possono mutare la concezione che una persona ha di se stessa in senso salutare;
- Possono mutare la sua concezione delle altre persone e i suoi rapporti con loro in molti modi;
- Possono mutare, più o meno permanentemente, la sua concezione del mondo o di aspetti o di parti di esso;
- Possono liberarla, renderla più creativa, spontanea, espressiva;
- La persona ricorda l’esperienza come un evento estremamente importante e desiderabile, cerca di ripeterla.
- La persona è più incline a sentire che la vita, in generale, è degna di essere vissuta.
Figura 1: H. A. Maslow, può essere considerato il fondatore della psicologia umanistica.
Mentre altre Vie si rivolgono a gruppi, promettono ascesi personali e salvezza eterna (pertanto promettono divisione tra gli esseri umani, e alimentano il loro ego), “la Via del Judo propone di autorealizzarsi per essere utili (dare per crescere e crescere per dare di più)”[15]. Il Judo si avvale di due principi etici: ”Sei-ryoku-zen’yo“ (il miglior impiego dell’energia) e “Ji-ta-kyo-ei” (realizzare se stessi per progredire insieme). L’attuazione del primo principio necessita di un uomo integrato in tutte le sue istanze (intellettuale, affettiva, estetica, etica, motoria). L’esperienza dell’ Uno (del fondo originario dell’essere, del vuoto, del vacuum, dell’illuminazione, del satori) ottenuto praticando il miglior impiego dell’energia fa cum-prendere (diventare tutt’uno con esso) al praticante il secondo principio (Ji-ta-kyo-ei) ovvero l’utilizzo delle proprie capacità per il bene comune, non per prestigio o per denaro, ma come “dono” al mondo.
Il concetto di autorealizzazione è definito da Maslow un processo dinamico, attivo, che dura tutta l’esistenza, è: “divenire e non essere”[16]. La teoria motivazionale dello Psicologo distingue tra: bisogni carenziali e accretivi[17]. La gratificazione del bisogno carenziale tende ad avere un momento culminante, inizia come motivazione al raggiungimento di una meta, segue una condizione di appagamento che, gradatamente, raggiunge un’acme nel momento della consumazione. Questo schema contrasta con le tendenze della motivazione accretiva. In questa, infatti, non vi è consumazione, non vi è situazione terminale, e persino non esiste finalità culminante; l’accrescimento è quindi uno sviluppo continuativo che non può essere soddisfatto: ”Il comportamento è in se stesso il fine”[18]. Mentre i bisogni carenziali sono condivisi da tutti i membri della specie umana, l’autorealizzazione è: “idiosincrasica, in quanto ogni persona è diversa dalle altre. Le carenze, vale a dire le esigenze della specie, ordinariamente devono essere ben soddisfatte prima che la reale individualità possa pienamente svilupparsi”[19]. Il processo di autorealizzazione, paradossalmente, spinge l’uomo verso la trascendenza dell’io; gli individui autorealizzanti si perdono nell’oblio del percepire, del fare, del creare. “Questa capacità di incentrarsi sul mondo anziché essere preoccupati di se stessi, e cioè egocentrici e orientati verso la gratificazione, diviene tanto più difficile quanto più la persona è dominata dai bisogni carenziali. Quanto più una persona è motivata all’accrescimento tanto più potrà incentrarsi sui problemi, e tanto più potrà lasciare dietro di sé la preoccupazione di sé, impegnandosi nel mondo”[20].
La proposta del Judo trova valenza teorica negli studi di Maslow. Il processo di autorealizzazione(ricordando che non ha mai fine, che è divenire e non essere), ottenuto grazie all’unificazione di corpo e mente nella pratica del miglior impiego dell’energia, è una tappa necessaria e imprescindibile per comprendere e quindi fare esperienza del secondo principio Ji-ta-kyo-ei, di natura etica, attraverso cui, avendo lasciato dietro il concetto di io come dato a sé stante, l’uomo si impegna a donarsi al mondo nel rispetto della propria unicità poiché : “L’esperienza dell’unità trova il suo livello più alto nell’amore universale”[21].
BIBLIOGRAFIA E NOTE:
- Cavana , L. , 2011 ; Conoscere attraverso il corpo: il contributo dell’aikidō nella formazione degli adulti , In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō. Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.87-102). Pisa: Edizioni ETS , 2011. p. 88.
- Ibidem
- Jäger , W. , Sophia Perennis. L’eterna Saggezza , Verona : Il Segno dei Gabrielli editori , 2012 , p. 41.
- Pasqualotto , G. , 2011 ; Aspetti etici ed estetici nell’aikidō , In , Travaglini , R. (Ed.) ; I processi formativi dell’aikidō. Sguardi su dinamiche e potenzialità (pp.39-45). Pisa: Edizioni ETS , 2011. p.39.
- Ivi pp. 39-41.
- Ivi pp.41-42.
- Ivi pp.42-44.
- Jäger , W. , Sophia Perennis. L’eterna Saggezza , Verona : Il Segno dei Gabrielli editori , 2012 , p. 34.
- Ibidem
- Ibidem
- Tribuzio , G. ; JUDO. Educazione e Società. Milano : Luni Editrice , 2014.p.179.
- Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).p.206.
- Ibidem
- Ivip.207.
- Barioli , C. ; Corpo mente cuore. Manifesto per una nuova educazione. Milano ,Trento : Luni Editrice , 1998. p.52.
- Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).p.36.
- La motivazione carenziale è una spinta primaria che deriva da un bisogno, una mancanza che porta il soggetto a muoversi verso ciò di cui ha bisogno e lotta attivamente per ottenerlo. Questo tipo di motivazione è caratteristico del periodo infantile, in cui il bambino lotta per ottenere ciò che desidera, per crescere e divenire adulto. Il soggetto spinto da una motivazione di tipo carenziale dipende da ciò di cui ha bisogno, come il bambino dalla madre. Il secondo tipo di motivazione ovvero quella accretiva è caratteristica degli adulti. La maturità porta alla sostituzione della motivazione carenziale con quella accretiva che non è altro che una spinta di tipo autorealizzativo. Il soggetto si espande psicologicamente nell’ambiente, relazionandosi con gli altri e dedicandosi al proprio lavoro. I due tipi di motivazione sono stati elaborati da Maslow, che li lega a due tipi di orientamento affettivo che si realizzano nella vita di una persona. Il primo definito dallo studioso “amore D” (deprivation love) è l’amore del bambino per l’adulto di cui ha strettamente bisogno. Questo amore dovrebbe essere sostituito dall’ “amore B” (being love) attraverso il processo di maturazione, in quanto l’individuo amando se stesso acquisisce le capacità per amare e prendersi cura degli altri, in un rapporto di libertà e di indipendenza. Tratto da : http://www.edurete.org/glossario/sa.asp?ida=363
- Maslow , H.A. ; Toward a Psychology of Being , NY: D.Van Nastrand Company , 1968. (Trad.It. Verso una psicologia dell’essere. Roma: Astrolabio – Ubaldini , 1971).p.43.
- Ivi p.44.
- Ivi p.46.
- Jäger , W. , Sophia Perennis. L’eterna Saggezza , Verona : Il Segno dei Gabrielli editori , 2012 , p. 34-35.
SITOGRAFIA:
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